Voluto dalla famiglia Vallecchi alla morte del prof. Carlo, nostro socio, già presidente del club e dermatologo di altissimo profilo, il premio, dedicato a una tesi in dermatologia, giunge alla terza edizione e comincia a formare quella classe Vallecchi che il Firenze Est ha immaginato per giungere un giorno a comporre un colloquio di alto livello sugli sviluppi della materia con le esperienze dei premiati delle diverse annate. Insieme con la dott.ssa Cristel Ruini vincitrice di quest’anno erano quindi presenti i vincitori delle passate edizioni, Dottoressa Sanja Javor (2012) e Dottor Riccardo Pampena (2013) che hanno riferito sullo sviluppo dei loro progetti.
L’attività della dott.ssa Ruini, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, è stata illustrata dal prof. Pimpinelli, allievo prediletto del prof. Vallecchi che ha sottolineato l’aderenza delle ricerche della premiata – con numerose pubblicazioni internazionali già al suo attivo - in un campo tanto vicino all’esperienza di Carlo.
La dott.ssa Ruini ha vinto con la tesi "Diagnosi genetica dei casi controversi di melanoma maligno mediante metodica FISH impiegata per la determinazione del numero di copie dei geni RREB1, MYB, CCND1 e DI CEP-6", di cui di seguito pubblichiamo un breve riassunto
Ma Cristel ha anche un simpatico passato sportivo, nel golf, dove ha conseguito buoni risultati. Come già negli altri anni, il premio Vallecchi rivela giovani capaci, meritevoli ma con passioni, sentimenti e volti in tutto normali. In un periodo dominato dal pessimismo e da una crisi che toglie ogni entusiasmo la consapevolezza dei premiati dà gioia e speranza e non quella vuota delle belle parole che troppi, nel Rotary come nel Paese, dispensano ogni giorno.
Anche Gemma Vallecchi e i familiari presenti hanno rivolto al Club un sentito ringraziamento. Alessandro Vallecchi ha inviato al Presidente una mail, letta in apertura di serata.
Un altro momento emozionante è stato il minuto di silenzio per ricordare il Prof. Failla, che tanto avrebbe gradito una serata come questa, dedicata a giovani medici.
E’ stato infine accolto questa sera il nuovo socio Arch. Enzo Cancellieri presentato dal Presidente che lo ha avuto per compagno di scuola negli anni verdi, ritrovandolo di nuovo nel club con lo stesso spirito di amicizia.
Approccio combinato mediante FISH e dermoscopia per l’analisi delle lesioni melanocitarie di controversa interpretazione
Il melanoma maligno è una neoplasia che origina dai melanociti, le cellule deputate alla produzione della melanina e responsabili della pigmentazione cutanea. Pur non essendo il più frequente, è sicuramente il più pericoloso tra i tumori cutanei, e la sua incidenza è in aumento nei paesi industrializzati. La carnagione chiara, la presenza di molti nevi atipici, la familiarità, ma anche l’esposizione al sole durante l’infanzia e le scottature solari sono i principali fattori di rischio. La diagnosi precoce è l’unica arma per combattere la malattia: se il melanoma viene identificato in fase iniziale infatti (spessore secondo Breslow minore di 0,75 mm), l’asportazione chirurgica è curativa e il paziente deve semplicemente sottoporsi a controlli annuali; quando però la diagnosi è tardiva e le cellule maligne hanno già interessato il derma, le strategie terapeutiche e di follow up sono più invasive (linfonodo sentinella, svuotamento linfonodale, terapia adiuvante con interferone, protocolli di sorveglianza radiologica), mentre la malattia metastatica lascia prospettive di sopravvivenza molto basse. L’autoesame della cute ed i controlli annuali presso il dermatologo di fiducia sono un ottimo sistema di screening di base; ad oggi esistono inoltre metodiche di diagnostica non invasiva quali la videodermatoscopia e la microscopia confocale che consentono un’elevatissima accuratezza diagnostica e permettono non solo di diagnosticare precocemente i melanomi, ma anche di distinguerli con estrema precisione dai nevi benigni, evitando al paziente escissioni e cicatrici inutili. È grazie alla dermatoscopia e al confocale, infatti, che il number needed to excise (il numero di nevi asportati per diagnosticare un solo melanoma) è passato nei centri più sviluppati da 18:1 a 4:1 in pochi anni. Il gold standard per la diagnosi di melanoma è ancora l’istopatologia, ossia la valutazione del tessuto asportato chirurgicamente al microscopio ottico da parte dell’anatomopatologo, ma il ruolo della dermatoscopia è divenuto di fondamentale importanza. Sempre più spesso la sinergia tra i due approcci conduce a risultati diagnostici decisamente soddisfacenti. Tuttavia, il parere del dermatologo esperto in dermoscopia può, alle volte, non coincidere con quello del patologo: questo si verifica per le cosiddette lesioni controverse, per le quali l’approccio combinato potrebbe non essere sufficiente a garantire un giudizio diagnostico chiaro e definitivo. Si è quindi pensato di introdurre nel percorso diagnostico lo studio della componente genetica di queste lesioni mediante l’ibridazione in situ fluorescente (FISH), una tecnica citogenetica che utilizza sonde fluorescenti per evidenziare mediante diversi colori la presenza o assenza di specifiche sequenze di DNA sui cromosomi. Tale metodica trova attualmente impiego in molti campi della medicina e, in particolare, dell’oncologia (carcinoma della mammella e del polmone, sarcoma di Ewing, leucemia mieloide cronica, etc). Nel caso del melanoma, la FISH permette di valutare la presenza di aberrazioni cromosomiche che non sono normalmente riscontrate nei nevi benigni.
Scopo dello studio presentato è stato quindi la valutazione del ruolo diagnostico della FISH nella caratterizzazione delle lesioni melanocitarie controverse, definite tali in base alle discrepanze tra la diagnosi istopatologica e la valutazione dermatoscopica e clinica. Sono state selezionate venti lesioni melanocitarie considerate ambigue, sia dal punto vista clinico-dermatoscopico che istopatologico, che dopo un primo esame istopatologico sono state rivalutate, in cieco, da un secondo patologo dell’Università di Firenze. Quest’ultimo ha guidato la diagnosi selezionando le aree più adatte all’analisi mediante ibridazione in situ fluorescente, che si avvale delle sonde specifiche per i geni RREB1, MYB1, CCND1 e per il centromero del cromosoma 6. Le anomalie citogenetiche identificate mediante tecnica FISH hanno potuto integrare in maniera rilevante il processo diagnostico. In tale ottica, il lavoro ha messo in luce l’importanza di un approccio diagnostico multidisciplinare, che includa la cooperazione tra il dermoscopista, il patologo e il biologo, soprattutto nelle lesioni melanocitarie di difficile inquadramento diagnostico e terapeutico. Questa sinergia esita in un migliore percorso diagnostico, terapeutico e di follow-up per il paziente.
Il lavoro è frutto di una collaborazione tra l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (Prof. Giovanni Pellacani, Cristina Magnoni, Stefania Seidenari e dott.Giovanni Ponti) e l’Università degli studi di Firenze (Prof. Daniela Massi, Dott.ssa Milena Paglierani); il fruttuoso rapporto di cooperazione tra le due cliniche prosegue peraltro tuttora all’interno di un progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN), insieme anche all’Università degli Studi de l’Aquila, dal titolo “Integrazione di metodologie di imaging clinico, di analisi molecolare e genetica per la caratterizzazione di sottotipi di melanoma, per il miglioramento diagnostico, per la valutazione della aggressività biologica e per la identificazione di fattori predittivi di prognosi”, affidato al coordinamento del Prof. Giovanni Pellacani.