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La proposta di modifica costituzionale concernente l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, lentamente in discussione in parlamento, costituiva uno dei temi centrali del programma dell’attuale coalizione di governo. Nasce dalla considerazione che il ruolo del Governo si è via via accresciuto pur in una nazione sempre più regionalizzata. E in effetti il sistema proposto riecheggia quelli per l’elezione dei sindaci e di quasi tutti i presidenti di regione.

Perché allora tante polemiche? I motivi sono molti: in primo luogo il ruolo del presidente della Repubblica che da almeno quarant’anni è divenuto sempre più attivo, in una sorta di diarchia già presente nella storia dell’Italia unita e in secondo luogo per il rischio che un referendum negativo diventi un giudizio sul Governo in carica, come già capitato nel 2016.

Il prof. Leonardo Bianchi ha ben sottolineato come negli ultimi decenni le riforme costituzionali con siano avvenute per consenso condiviso, come accadde nel testo originale, frutto di compromessi ma infine sempre condivisi. Non così negli ultimi anni fino al paradosso della riforma del titolo V (autonomie regionali) ottenuta nel 2001 da un Governo di sinistra e oggi in corso di attuazione sotto un Governo opposto.

Nel dibattito, interventi di Cortigiani, Cobisi, Andreozzi, Enrico Fantini, Taddei Elmi.