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L’ultima Meridiana di questo anno rotariano coincide con lo storico referendum britannico sull’appartenenza all’Unione Europea. Il prof. Marco Ricceri, segretario generale dell’Eurispes, ne ha esposto il tema confrontando “G.B. e U.E.: quali orizzonti comuni?”. A urne aperte sono state analizzate le difficoltà del cammino europeo, della cui crisi il referendum britannico è un evidente segno. Citando l’ex cancelliere tedesco Schmidt, Ricceri ha sottolineato come l’Europa abbia perduto la sua razionalità, avendo introdotto l’euro ed effettuato un ampio allargamento a Est senza dotarsi di una struttura politica che ridisegnasse l’intera costruzione europea.

Proprio sull’allargamento le differenze di mentalità e posizionamento geo-politico delle due parti d’Europa, una distinzione che si mostra anche su tematiche sensibili come l’immigrazione che Bruxelles giudica utile ma l’unica politica comune è cedere alle richieste miliardarie della Turchia per rallentarne il flusso. E di questi esempi ve ne sono molti, a testimoniare il distacco creatosi tra le istituzioni europee e i popoli, lasciati sempre più dinanzi alle istanze degli euroscettici.

Occorrerebbe ripartire da una visione di comune appartenenza culturale che lasciasse per una volta l’economia da parte per rifondare l’Europa su un contenuto minimo di punti realmente condivisi. Non poteva certo muoversi in questo quadro la costituzione giscardiana di 424 articoli poi bocciata né tantomeno possono aiutare i 700 diplomatici guidati dalla Mogherini, che non hanno una effettiva autonomia rispetto ai governi nazionali. Forse basterebbe poco per recuperare un orizzonte comune, giacché il metodo dell’Unione europea è apprezzato ovunque come dimostrano esperimenti quali la recente Unione euroasiatica voluta da Putin e la ricerca di un unico interlocutore europeo perseguita da Paesi e popoli lontani.

Riuscirà la società civile a riappropriarsi dell’idea europea? Questo, più che il risultato del referendum, è stato poi il tema del dibattito (interventi di Rogantini, Azzaroli, Tonelli, Belloni, De Fabritiis, Cobisi) che ha concluso la riunione più che mai attuale.

 

La Gran Bretagna entrò nell’allora Mercato Comune nel 1973 insieme con Irlanda e Danimarca. Quel 1° gennaio anche la Norvegia poteva accedere al MEC ma un referendum bloccò l’adesione confermando una forte componente contraria all’unificazione europea in molti Paesi nordici.

La Svezia, che accedette all’Unione nel 1995, tenne nel 2003 unreferendum che bocciò l’adozione dell’Euro e costò la vita, pochi giorni prima del voto, alla ministro degli esteri Anna Lindh.

Il parallelo corre facilmente a quanto occorso la settimana passata con l’uccisione di Jo Cox, la deputata europeista britannica. A queste ondate di violenza che rompono l’idillio di una inesistente calma nordica non aveva certo pensato il primo ministro britannico conservatore David Cameron quando ha convocato il referendum di questo 23 giugno.

Egli ha preferito la scommessa, come giocò d’azzardo col referendum scozzese di due anni fa, vinto dagli unionisti col rischio di spaccare il Paese. Ma Cameron non è Churchill che già nel 1946, rivolgendosi all’Università di Zurigo, parlò di Stati Uniti d’Europa e la sua campagna per il “remain” è stata debole e controversa, raccogliendo un risultato che danneggia il Paese e il resto d’Europa, aprendo una strada pericolosa e complicatissima all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. In attesa di soluzioni creative ci attende un lungo periodo di incertezza. Legalmente il referendum è solo consultivo e toccherà al Parlamento di Westminster avviare la procedura di uscita dando mandato al governo (uno nuovo, atteso per ottobre) di negoziare nei due anni previsti dall’art.50 del Trattato UE.

Intanto la europeista Scozia (e forse la Nord Irlanda) annunciano di voler proteggere i propri interessi, riaprendo il dossier dell’indipendenza, col rischio che la Corona stessa sia posta in pericolo. Altri invece hanno avviato la richiesta, legittima, di un nuovo referendum, allungando ancor di più i tempi che gli interlocutori europei chiedono invece siano brevi.

Una domanda si agita così nei primi giorni dopo il referendum: e se fosse stato tutto inutile? Macchina indietro, ecco cosa occorrerebbe ma il capitano della nave, dopo aver impostato la rotta suicida, vuol scendere dalla barca e timonieri alle viste non ce ne sono. Cresce così l’incertezza che ha portato al crollo delle borse e ai timori che ciascuno di noi si fa sul proprio rapporto con l’Inghilterra che, unico merito del referendum, abbiamo scoperto essere vitale.

Se ci fossero leader coraggiosi in Europa, andrebbero in Gran Bretagna comunicando una scelta rivoluzionaria: il rifiuto del risultato del referendum.