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Accanto a recenti elezioni – presidenziali e politiche – anche forti azioni personali hanno portato sulla scena nuovi leader mondiali. La decisione di Benedetto XVI di lasciare il suo ministero e l’elezione di Papa Francesco hanno posto il tema della successione in primo piano e anche alcuni re (in Olanda, Belgio e Spagna) hanno preferito abdicare per dare spazio al rinnovamento. Torna quindi di attualità anche la successione del Dalai Lama, guida spirituale e massima autorità tibetana. Il Dalai Lama oggi vivente (14° Dalai Lama, Tenzing Gyatso)  è in esilio forzato dal 1959, giunto in India a seguito della rocambolesca fuga da Lhasa per sfuggire all’inevitabile incarcerazione conseguente l’invasione del suo Paese da parte del governo di Mao Ze Dong. Nel suo esilio il Dalai Lama ha conquistato la simpatia e il sostegno di milioni di persone.

Fabio Azzaroli – dopo essersi soffermato sulla storia del Tibet, fatta di sangue, di guerre anche fratricide e religiose caratterizzate da episodi di vero e proprio terminio – ha ripercorso l’origine del particolare carisma del Dalai Lama che risale al XVI secolo, quando “il re mongolo Altan Khan, discendente di Kublai Khan decide di porre termine manu militari alle dispute ed ai contrasti e, una volta pacificate le dispute, invitò alla sua corte il monaco Sonam Gyatso, famosissimo al tempo, perché con i suoi insegnamenti potesse guidare i sudditi assetati di sangue verso la pace e l’armonia. Influenzato dalla profonda conoscenza ed energia spirituale di Sonam, Altan Khan volle celebrarlo con il titolo (in mongolo) di Dalai, cioè “profondo come l’oceano”: in altre parole un monaco (lama) che come l’oceano ha la vastità e la profondità della conoscenza.Sonam Gyatso fu insignito di tale titolo nel 1578 e fu riconosciuto come III Dalai Lama: uesto perché egli era riconosciuto come reincarnazione di Guendun Gyatso, che viene considerato il II Dalai Lama, a sua volta riconosciuto come reincarnazione di Guendun Drup, reincarnazione di Avalokiteshvara, ed è quindi il I Dalai Lama, ed allievo di Jey Tsongkhapa. Al I ed al II Dalai Lama, quindi, il titolo è stato conferito postumo. Nel ‘600, probabilmente per motivi diplomatici di equilibrio tra i vari lignaggi, il primate del monastero di Tashilumpo fu eletto Panchen Lama da Ngawang Lobsan Gyatso (il Grande Quinto): in varie occasioni si utilizzò tale figura concentrando su di essa la responsabilità della guida religiosa e mantenendo sul Dalai Lama la responsabilità della guida politica. E’ evidente come in un tale dualismo le due figure fossero da un lato destinate spesso al contrasto, e dall’altro come esse si influenzassero reciprocamente, anche nel sistema della successione, che è sempre stato per reincarnazione e, quindi, che postula un procedimento caratterizzato da superstizioni, divinazioni ma anche organizzazione e nomina di ricercatori autorizzati, e di direttive impartite agli stessi. La successione di un Dalai Lama, essendo condizionata dal ciclo delle reincarnazioni, rappresenta un sistema ontologicamente debole sul piano della effettività del potere: infatti tra la morte di un Dalai Lama ed i pieni poteri del suo successore passano di regola diciotto anni, che sono il periodo che occorre alla reincarnazione del defunto per raggiungere l’età della consapevolezza e le capacità di governo”.

Molto spesso viene quindi rivolta al Dalai Lama la domanda sulla sua successione che – per i cinesi – acquista un significato politico, tanto ad aver cercato di suscitarla per conto loro. La pervasività del regime cinese sulle religioni è nota e anche la Chiesa cattolica ha dovuto subire la tragedia della imposta “Chiesa patriottica” con ordinazioni vescovili non concordate con Roma. Con la ricostruzione del monastero di Tashilunpo, dopo la morte del X Panchen Lama avvenuta nel 1989, Pechino ha tentato – ricorda il nostro relatore “la duplice opportunità di ingraziarsi la popolazione tibetana, non tutta contraria al regime, e di trovarsi un Panchen Lama condiscendente in vista della successione del Dalai Lama. Non è quindi a caso che negli anni ’90 del secolo scorso la ricerca della reincarnazione del X Panchen Lama fosse stata promossa non dal Dalai Lama, che evidentemente non ne vedeva la necessità, ma direttamente da Pechino. Il Lama incaricato della ricerca però, dopo aver trovato il bambino nel 1995, riferì del ritrovamento al Dalai Lama anziché a Pechino e questo gli costò sei anni di prigione; poiché poi il Dalai Lama ha comunicato che effettivamente il bambino ritrovato era l’XI Panchen Lama, il bambino è stato messo “sotto custodia protettiva” dalle autorità di Pechino e non se ne sa più nulla dal 1995, secondo alcuni sarebbe addirittura morto, mentre il governo cinese non ha riconosciuto nel bambino il nuovo Panchen Lama e ne ha insediato un altro (ovviamente non riconosciuto né dal Dalai Lama né dai buddhisti di tutto il mondo). Tutto ciò all’evidente scopo di fare forza su quella tradizione, che non a caso Pechino difende a spada tratta, che vuole nel Panchen Lama il riconoscitore del nuovo Dalai Lama (e dimenticandosi correlativamente che secondo tale pretesa tradizione sarebbe il Dalai Lama a poter riconoscere il Panchen Lama).”

“In realtà bisogna considerare che oggi, a seguito della storia recente, il Dalai Lama è diventato l’impersonificazione stessa della causa tibetana, è cioè diventato una di quelle rare figure di persona divenuta essa stessa una realtà geopolitica. E non è affatto detto che il prossimo Dalai Lama abbia lo stesso ruolo storico e politico. Da parte sua Tenzing Gyatso sta da anni lavorando per separare la leadership religiosa da quella politica, attraverso l’adozione di uno statuto dello Stato Tibetano (La Carta dei Tibetani in Esilio adottata nel 1990), il rafforzamento del Parlamento in esilio e dei poteri del Governo in esilio, il Kashang, anch’esso fortemente connotato sul piano religioso ma con il trasferimento del potere politico di fatto in capo a Samdhong Rinpoche, uno studioso che ha ricoperto per dieci anni, fino al 2011, la carica di Kalon Tripa e che potrebbe divenire una sorta di Presidente del Tibet in esilio. Sta di fatto che nella ricorrente diatriba per la sua successione il Dalai Lama ha negli anni prospettato tutta una serie di ipotesi possibili come ad esempio il fatto che il prossimo Dalai Lama potrebbe essere una donna, o che dovrebbe essere cercato preferibilmente in occidente (al che Pechino ha reagito varando una legge secondo la quale il Dalai Lama non potrebbe reincarnarsi altro che in territorio cinese!). Recentemente, nell’ambito di un riacutizzarsi della polemica, Tenzing Gyatso ha anche ipotizzato che la sua figura possa rivelarsi ormai superata, ovvero che alla data in cui trapasserà potrebbe esserci una situazione tale per cui non vi sia più alcun bisogno di un nuovo Dalai Lama, rimanendo la cura del popolo tibetano in esilio in mano al governo di Dharamsala. In effetti, quale reincarnazione di un Bodhisattva supremo, egli può anche decidere la fine del suo ciclo di reincarnazioni ed accedere al suo parinirvana chiudendo così la sua vita terrena. D’altra parte ha anche affermato che “sotto il Presidente Xi Jimping è iniziata una nuova era: vuole creare una società più armoniosa rispetto a quella del suo predecessore Hu Jintao. Inoltre, …, aveva definito il buddhismo come una parte importante della cultura cinese”. 

Va infine riferito quanto ha detto il 79enne Tenzing Gyatso nello scorso settembre durante un’intervista a Die Welt: “Secondo i medici che mi hanno visitato arriverò a 100 anni. Stando ai miei sogni a 113. Ma 100, credo, saranno sicuri”. Come dire: il problema della mia successione può attendere ancora un po’…”