Il romanzo di Giovanna Querci Favini ha per protagonista una donna che potrebbe essere il prototipo dei desideri di ogni donna della nostra epoca che vede la propria massima realizzazione nel lavoro.
Ghita è nata da una famiglia benestante e si è sposata con un ricco imprenditore, ha due figli, una bella casa, insomma tutto quello che una donna può desiderare, ma soprattutto il suo lavoro le riempie la vita molto più dell’amore per suo marito che è ormai diventato una tenera amicizia resa appena un po’ diversa da qualche incontro sotto le lenzuola, con l’impressione di rubare del tempo al sonno di entrambi sottraendo energie ai rispettivi lavori. Docente universitaria di psichiatria, aiuto del primario, si rende conto che le sue pazienti sono diventate più importanti del marito, dei figli, del posto prestigioso che occupa nella società della buona borghesia a cui è sempre appartenuta. Ghita pensa cioè di non aver mai voluto o desiderato niente di diverso; in fondo, è certa di non aver mai amato. Ed è felice che sia così. Ma in un monotono pomeriggio di Pasqua qualcosa di inverosimile, come inverosimili sono gli scherzi dell’inconscio, le cambierà la vita. Due sono le domande che Ghita e il lettore si pongono attraverso questa storia: da dove viene il Male? E si può vendere l’anima al diavolo per rivivere il momento più orribile del nostro passato?
Su queste riflessioni si è innestata la conversazione che ha coinvolto numerosi soci anche per gli aspetti, per certi versi affascinanti, del “mestiere” di scrittore nella società attuale.