anno 2023 2024      

 

Al termine della riunione il presidente Ristori ha fatto pervenire al relatore questo messaggio che ci ha pregato rendere noto anche attraverso il bollettino: "Ricordare per capire: le Foibe. Grazie Luigi per quanto ci hai detto oggi. E bene hai fatto a leggere il Tuo messaggio; così da non farTi travolgere dall'emozione che palpabilmente ha coinvolto gli Amici presenti; e quelli che hanno vissuto quei giorni e, come me, tutti gli altri; inorriditi ed indignati che si sia permesso di tacere per così lungo tempo." Numerosi gli interventi (Azzaroli, Missigoi, Mastrelli, Zerauscheck, Failla, Fioretto con riferimenti alla personale esperienza di questa pagina di storia.

Pubblichiamo il testo integrale della relazione odierna, “Ricordare per capire: le Foibe”.

 

Credo sia stata una scelta molto saggia di dedicare oggi, ad un mese di distanza dalle celebrazioni ufficiali, il nostro incontro alla giornata del ricordo. A distanza di oltre sessantacinque anni dal tragico fine-guerra sui confini nord-orientali del nostro Paese, il ricordo dei martiri delle foibe e l’esodo istriano-dalmata non hanno ancora trovato uno spazio condiviso nel cuore degli italiani.

Tre sono gli argomenti che si oppongono ad una definitiva accoglienza di quei fatti da parte di tutti gli italiani:

-          la scarsa conoscenza di quanto accadde alla fine della II Guerra mondiale in alcune zone del nostro Paese;

-          la scarsissima conoscenza dei termini del trattato di pace del 1947;

-          la politica.

Cercherò di dare una breve illustrazione di questi tre aspetti per concludere con uno sguardo alla situazione attuale, nella quale è possibile riconoscere finalmente tante speranze di pace e libertà.

 

  • Per una conoscenza dei fatti

 

1. Festeggiando tra pochi giorni il 150° dell’Unità nazionale non vorrei si dimenticasse che il raggiungimento dei cosiddetti confini naturali del Paese, cioè sostanzialmente l’intero arco alpino, avvenne solo nel 1918, con la fine della I Guerra Mondiale. I nuovi confini che nacquero dalla disgregazione dell’Impero Austro-Ungarico lasciarono molti scontenti. E’ in questo momento che il cammino risorgimentale della Serbia – guida della nascente Jugoslavia – e dell’Italia si divarica ponendo le basi di futuri conflitti in un’area che era ed è sostanzialmente plurilingue: italiano, tedesco, sloveno, croato e ungherese convivono non solo nella cultura o nell’amministrazione ma anche nelle famiglie. Mio padre, come molti “regnicoli” trovatisi a Trieste nell’immediato primo dopoguerra, percepì tutto il fascino di questa pluralità. Nella sua mente di ragazzo c’erano così i due ferrovieri che litigavano (in italiano) per esser stato uno nell’esercito italiano e l’altro in quello austriaco; le donne slovene che portavano il latte dal Carso; l’amico istriano ma di lingua romena, perché in quelle zone c’erano anche questi nostri altri fratelli latini. E poi l’amore per la lingua tedesca ma le preghiere e la poesia in italiano; le trincee di Enrico Toti, D’Annunzio a Fiume, Marconi con l’Elettra a Monfalcone e sullo sfondo il santo imperatore Carlo e il quasi rimpianto Francesco Giuseppe. E’ il mondo che in altra zona dell’ex-Impero ha raccontato Joseph Roth. Il nazionalismo esasperato pretenderà di far scomparire gli equilibri di quell’epoca perduta e la Seconda guerra mondiale ne metterà in tragica luce tutte le contraddizioni.

2. Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipa all’occupazione della Jugoslavia.  L’effimera vittoria è attestata dal Trattato di Roma con cui il Regno si annesse una gran parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro, occupando tutta la costa adriatica. La Croazia si costituì in stato indipendente sotto la guida del partito ultranazionalista di Ante Pavelic. La guerriglia che si scatenò in tutta la Jugoslavia vide il perpetrarsi di orrendi delitti, sotto molti aspetti simili a quelli che cinquant’anni dopo furono compiuti nella definitiva guerra che porterà all’indipendenza delle ex Repubbliche jugoslave. L’8 settembre, la sconfitta italiana permetterà al Terzo Reich di imporre il suo giogo a tutta la regione sotto il nome di Territorio costiero adriatico (Adriatisches Kuestenland). E’ l’inizio della fine. Trieste, città cosmopolita, è offesa a morte dalla costruzione di un campo di sterminio; la guerra partigiana comincia ad essere egemonizzata dai comunisti che vedono nella sconfitta tedesca l’occasione rivoluzionaria. Parallelamente, sfruttando la debolezza territoriale dell’occupante, i partigiani poterono proclamare a Pisino l'annessione dell'Istria alla Croazia. Gli eccidi comunisti portano alla scomparsa nelle foibe tra le seicento e le ottocento persone. Non saranno che i primi. Tra loro la studentessa universitaria Norma Cossetto, 23 anni, gettata dopo stupri e violenze in una foiba con altre ventisei persone. Preferisco non ricordare i particolari del suo sacrificio. Sottolineiamo piuttosto che l’Università di Padova, dove studiava, le conferì, già  nel 1949, la laurea ad honorem su proposta del rettore, il comunista Concetto Marchesi. Nel 2005 Norma Cossetto è stata insignita della medaglia d’oro al valor civile a titolo postumo e una targa in suo ricordo è stata scoperta a Padova in Rettorato il 10 febbraio di quest’anno.

3. E’ però negli ultimi giorni di guerra – aprile-maggio 1945 - che le armate partigiane della Jugoslavia comunista di Tito riescono a occupare Trieste dopo essere dilagate nei territori circostanti e fanno irruzione nella sanguinosa coda guerra civile italiana mentre conducono una parallela battaglia contro sloveni e croati non comunisti. Secondo uno schema che la storia del comunismo ha conosciuto più volte, da Katyn alla Cambogia, gli intellettuali, la classe dirigente, militari e borghesi che siano sono da subito nel mirino. E’ in questo clima che – arrestati con l’aiuto di delatori e agitatori comunisti – migliaia di italiani finiscono davanti a improvvisati tribunali popolari e  uccisi barbaramente. Si tratta, secondo varie fonti di 12.000, forse 15.000 persone. Incolonnati, spesso senza scarpe e legati l’un l’altro col fil di ferro vengono condotti all’imboccatura di pozzi carsici – le foibe, appunto – dove vengono gettati vivi. Si sparava al primo che trascinava, cadendo, gli altri.

4. Altissimo è il tributo di sangue delle forze dell’ordine. Si pensi che nella sola Trieste, la sola Guardia di Finanza ha lamentato la scomparsa di oltre 200 militari. La loro storia è particolarmente significativa. Forza di polizia, la Finanza rimase nella propria caserma di Campo Marzio in attesa dell’occupazione che – secondo le convenzioni internazionali – comporta il permanere delle forze dell’ordine pur sotto determinate circostanze. Portati sul Carso, finirono tutti nelle foibe. Novantasette a Basovizza, gli altri non si sa. Per anni le autorità comuniste negarono l’uccisione di molti di loro facendosi perfino consegnare pacchi dono per chi si diceva fosse internato da qualche parte in Jugoslavia aggiungendo tragiche beffe all’eccidio. Fu così che per queste persone sopravvenne la dichiarazione di morte presunta, secondo la legge civile e non l’accertamento della loro uccisione. Ricordare gli uomini della Finanza e delle altre forze dell’ordine è importante per sottolineare che tra gli uccisi vi erano persone di tutta Italia. Tra i finanzieri uccisi nel maggio 1945 c’erano sardi di Sassari e siciliani di Siracusa che testimoniarono così la loro fedeltà al servizio.  Il carabiniere toscano Torquato Petracchi fu invece ucciso nel 1943 durante la prima ondata di infoibamenti in Istria. Come si legge nella motivazione della medaglia d’oro, “legato ai polsi con filo di ferro spinato suggellò con la morte, al grido di “Viva l’Italia” la sua inestinguibile fede nei destini della Patria e il suo attaccamento alla nobile tradizione dell’Arma”. A lui è ora dedicata la Caserma dei Carabinieri di Pistoia.

5. Gli eccidi, concentratisi nei quarantacinque giorni dell’occupazione di Trieste da parte delle armate comuniste, proseguirono tuttavia ancora per qualche tempo.  Don Francesco Bonifacio, eroico prete istriano, proclamato beato dalla Chiesa nel 2008, fu ucciso in odio alla fede l’11 settembre 1946, tre anni dopo i primi eccidi. Solamente dal 2004, quasi sessanta anni dopo, la Repubblica Italiana, dedica una giornata al ricordo degli esuli e di questi desaparecidos. Ma ancor oggi le foibe non hanno restituito tutta la loro tragica verità.

 

  • Per una conoscenza del trattato di pace

 

1. Intervenuti gli Alleati, Trieste e parte delle aree circostanti, fino a Pola, furono liberate dall’occupazione militare comunista jugoslava già nel giugno 1945. Iniziava una logorante guerra di confine e l’ancor più complessa trattativa che portò alla firma del Trattato di Parigi, la cui entrata in vigore, il 10 febbraio 1947  ha determinato la scelta della data della Giornata del Ricordo.

Credo sia importante osservare questa data insieme con altre:

-          mentre il resto d’Italia del 25 aprile si sente liberata, Trieste conosce l’occupazione e i massacri del maggio 1945;

-          mentre il resto d’Italia sceglie la Repubblica ed elegge la Costituente, 2 giugno 1946, tutta l’area dell’Adriatico orientale non può votare perché sottoposta a occupazione straniera;

-          mentre la Costituente fissa i principi della moderna democrazia, i nostri connazionali subiscono ogni genere di pressione e in una vasta regione sottoposti a un governo comunista.

2. L’oblio, cui i fatti che oggi ricordiamo sottostaranno per decenni, nacque dalla diversa esperienza di un’Italia che da un lato rinasce e dall’altro scompare.  Sia detto senza giri di parole: l’Italia, la seconda guerra mondiale l’ha persa ma questa semplice realtà, attestata dal trattato di pace del 1947, non è sempre chiara a tutti anzi non di rado viene negata o nascosta. Il dramma delle foibe è in parte anche questo: la loro esistenza ci fa precipitare tra i vinti imponendoci di riflettere su chi siamo.

3. Con l’entrata in vigore delle disposizioni del trattato di pace passarono alla Jugoslavia le province di Pola, Fiume e Zara, parte delle province di Trieste e Gorizia. La stessa Gorizia fu divisa in due e Trieste sottoposta ad amministrazione alleata fino al 1954. Trecentomila connazionali saranno costretti a trasferirsi in altre parti del Paese. Numerosi giunsero anche a Firenze e tra questi alcuni rappresentano, anche in questo Club, un contributo essenziale allo sviluppo della nostra città.

 

  • La politica

 

1. Nei lunghi anni della ricostruzione il silenzio degli italiani che hanno vissuto nelle loro famiglie la tragedia delle foibe e le vicende dell’immediato dopoguerra è stato esemplare. Lo dico con amarezza ma ben comprendendone le ragioni. Come insegna – in altro tragico contesto il profondo pensiero di Primo Levi – è il dramma del sopravvissuto che ha passato il “come”  e si domanda “perché” viva ancora.  Sono domande solitarie che si pone chi ha lasciato tutto dietro di sé e spesso non ha nemmeno una tomba dove ricordare i propri cari. Ma il silenzio è stato anche imposto. Per decenni si è di fatto impedito di onorare la memoria dei martiri e sui luoghi del Carso, come la foiba di Basovizza, si sono accese polemiche ignobili. Si ricorderà la questione se quello fosse un monumento nazionale e un luogo di interesse nazionale, in un dibattersi di nomenclature indegne di un Paese che riconosca la propria storia.  Va  a merito del Rotary Club Firenze Est, nell’anno del suo XXV, 1992-1993, aver tenuto due riunioni a Trieste e Gorizia, recandosi anche in visita a Basovizza (qui accanto,  nella foto, il museo presso la foiba)

2. Come sappiamo l’Italia ha lungamente dimenticato non solo quanto accadde in quelle terre ma anche e soprattutto le responsabilità di coloro che si resero colpevoli di fatti che non furono solamente “pulizia etnica” ma un consapevole atto politico.  Italiani contro italiani: perché ci fu perfino chi andò verso la nuova Jugoslavia socialista nel sogno di una settima repubblica (italo-sloveno-croata) di quel Paese che non riuscì ad essere mai una nazione.

3. Connazionali in quelle regioni ne rimasero pochi, confrontati a pesanti discriminazioni che tuttavia dettero luogo ad autentici esempi di abnegazione, soprattutto nella vita scolastica e familiare. Nel 1974 (Trattato di Osimo) lo status quo fu ritenuto irreversibile. In un’Italia sempre distratta solo i governatori di tutti i distretti rotariani si levarono contro il trattato.  L’indipendenza di Slovenia e Croazia (1991) riscoprì ai nostri occhi gli eredi di chi rimase e manifestò tutta la fretta con cui cinquant’anni prima il trattato di pace era stato concluso.

 

  • I rimasti

 

1. Vorrei concludere con una speranza. Ripercorrere oggi le strade che mio padre traversava in bicicletta non è semplice, sia per i tracciati diversi che per l’eccesso di ricordi di tante conversazioni con lui, lungo gli anni. Come avrete compreso vi sono molti elementi personali in quanto vi ho detto.  Non credo utile alla nostra riflessione portare altri particolari. Posso dire però che tutti noi che – a diverso titolo portiamo il ricordo delle persecuzioni e dell’esodo – sappiamo cosa significa voler essere italiani. Ripeto: voler essere con tutto il cuore parte della comunità nazionale, linguistica, culturale italiana e non essere da questa respinti. Ma rintracciare i percorsi di papà è possibile e, nell’Europa di oggi, molto istruttivo e positivo.

2. Sono almeno trentacinquemila gli italiani che da Buccari a Capodistria sono rappresentati oggi da 52 comunità, un deputato in ciascuno dei parlamenti di Lubiana e Zagabria, un quotidiano, tre stazioni radio, una tv, un teatro stabile e da tante scuole con circa quattromila allievi. Con l’ingresso nell’Unione Europea e l’adozione dell’Euro da parte della Slovenia scomparve anche la frontiera di Trieste e la prossima ammissione della Croazia nell’UE potrà rendere possibile la riunificazione di uno spazio culturale italiano in Europa, dal Gottardo al Mediterraneo, da Ventimiglia al Mar Nero.

3. Resta tuttavia il rammarico per chi non vuole ancora ammettere il peso della tragedia. Consola che lo scorso anno il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sulla cui storia politica non vi sono dubbi, riconoscesse “l'impegno comune del ricordo, della vicinanza, della solidarietà, contro l'oblio e anche contro forme di rimozione diplomatica che hanno pesato nel passato e che hanno causato profonde sofferenze” esprimendo solidarietà “con quanti vissero la tragedia della guerra, delle foibe, dell'esodo” e definendosi “accanto a loro e ai loro famigliari, accanto alle famiglie delle vittime innocenti di orribili persecuzioni e massacri”. (Luigi Cobisi)